No, non è un refuso. L’espressione si prestava troppo al gioco di parole e l’hashtag #VacanzeRoNane è venuto praticamente da sé: è stata la parola d’ordine per raccontare sui social il mio viaggio di tre giorni ad agosto nella capitale.

(Parte in sottofondo la voce cristallina di Antonella Ruggiero, n.d.r.). A Roma ci sono stata più volte nella mia vita, quasi sempre per intensive e devastanti visite di carattere storico-artistico-archeologico; questa volta sono scesa per rivedere una carissima amica, trasferitasi lì da Verona. Elisa fa la copywriter, abita a Centocelle e anche lei ha un blog, dove ha già raccontato con finezza cosa significa girare per una città con me e, soprattutto, cosa significa essere mia amica. Manca ovviamente il mio punto di vista, di cui parlerò qui: questo non è un travel blog post, quindi mi perdonerete se non sarò precisa su numeri di tram e fermate della metro, ma vorrei anzi dimostrare che visitare Roma (o un’altra città) a 98 cm d’altezza e/o su una sedia a rotelle è estremamente difficile, ma possibile (se si è almeno in tre persone!).

Antefatto: la prenotazione del treno

Ho scelto forse la settimana più calda dell’estate per scendere nella Città Eterna, ma Elisa ed io (d’ora in poi “La Gatta e la Volpe”) potevamo incastrare i nostri impegni solo allora. La soluzione indubbiamente più comoda era il treno diretto ad alta velocità Verona-Roma, con viaggio di andata da sola e viaggio di ritorno in compagnia di Pietro, il fratello di Elisa. Ormai mi sposto spesso sui treni da sola, con la mia carrozzina che uso per le lunghe distanze, ma questo viaggio è stato il più lungo che abbia mai fatto senza essere accompagnata: ciò che fino a un anno fa mi metteva paura, ora lo reputo un privilegio irrinunciabile.

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Gli operatori dell’assistenza per i viaggiatori disabili

Tutto ciò è possibile grazie all’assistenza offerta dalle Ferrovie dello Stato, in salita e in discesa dal treno. Trenitalia, lo sappiamo, ha mille difetti e non parliamo poi dell’accessibilità dei vagoni e delle stazioni, ma in tanti anni che uso il servizio – su molte tratte diverse – ho sempre riscontrato efficienza e cortesia da parte degli addetti all’assistenza, e disponibilità del personale sul treno a venire incontro a qualsiasi mia esigenza. Per non rischiare di avere grossi problemi bisogna purtroppo puntare sui treni ad alta velocità, sempre comodi, accessibili e meno soggetti a soppressioni e ritardi, ma più costosi e che fermano solo in alcune città; questa volta ho voluto complicare le cose, scegliendo per l’andata la ormai ben frequentata Freccia di Trenitalia, e per il ritorno il servizio di Italo Treno, testato qui per la primissima volta. Per entrambi l’assistenza in stazione è stata impeccabile (le due compagnie si avvalgono delle stesse cooperative di personale), ma a livello di comodità e rapidità di prenotazione del viaggio, do un punto in più a Trenitalia: la prenotazione solo telefonica (e non per mail) dell’assistenza per Italo e il pagamento del biglietto tramite comunicazione verbale delle coordinate della carta di credito soltanto il giorno prima della partenza (e non sul sito, quando mi gira di procedere al pagamento) rende tutto il procedimento più macchinoso. Per quanto riguarda la gentilezza degli operatori telefonici se la giocano a pari merito.

Giorno 1

Ma chiudiamo la parentesi “prenotazione assistenza” e andiamo avanti, ché non sono ancora partita. Ho preso il Frecciargento delle 11.52 da Verona Porta Nuova: sulla tratta Bolzano-Napoli i posti riservati alle carrozzine si trovano in prima classe, anche se si ha un biglietto di seconda… potete immaginare il mio dissimulato disagio nell’usufruire del quotidiano a scelta e degli snacks (“Lo gradisce dolce o salato? Succo di frutta o caffè?”) offerti dalla casa. Ogni volta è una vera tortura!

bottiglia prima classe

Bottiglia d’acqua di benvenuto sulla prima classe Frecciargento: ovviamente la bottiglia è mini!

Sto scherzando, ovviamente. Non c’è niente di meglio che viaggiare nella quiete della prima classe insieme a uomini d’affari immersi nei loro pc, coccolati da queste piccole accortezze di benvenuto. L’unica nota negativa è stata la toilette cosiddetta accessibile: tralasciando il fatto che qualsiasi bagno “accessibile” è per me più scomodo di uno normale, in questo caso per raggiungerlo bisognava superare la porta scorrevole dello scompartimento (azionabile da un pulsante posto in alto) e anche il chiavistello per chiudersi dentro era posto troppo in alto per una persona in carrozzina, figuriamoci per me. Dato che comunque il bisogno era impellente, ho dovuto chiedere a una signora se gentilmente mi faceva la guardia alla porta.

Una volta giunta alla stazione di Roma Termini mi sono fatta venire a prendere da Elisa, accompagnata dal suo ragazzo Claudio e da suo fratello Pietro, diciassettenne, arrivato da Verona qualche giorno prima di me. Dopo i saluti e le presentazioni, zaino in spalle (non le mie!) e via, siamo partiti alla conquista dei nostri obiettivi senza passare da casa. Sì lo ammetto, il mio zaino non era proprio piccolo e leggero… ma magari in un altro post vi spiegherò che cosa deve mettere in valigia una donna di 98 cm, per stare via anche solo una notte.

L’obiettivo finale del pomeriggio era raggiungere Galleria Borghese e entrare senza prenotazione, sperando nei biglietti last minute: avevamo calcolato che, di noi quattro disperati, probabilmente soltanto Claudio avrebbe pagato il biglietto di ingresso, non essendo disabile, né accompagnatore di disabile, né minorenne, quindi le probabilità di entrare comunque erano molto alte.

Sulla via, ci siamo fermati nella Basilica di Santa Maria degli Angeli presso le Terme di Diocleziano, dov’è conservata la meridiana – segnata da una linea di bronzo sul pavimento, lunga 45 metri – realizzata per il Giubileo del 1700 e usata come orologio ufficiale fino al 1846, anche e soprattutto per determinare la data esatta della Pasqua. Non abbiamo resistito poi a mettere la testa dentro a Santa Maria della Vittoria, che ospita la magnifica Transverberazione di Santa Teresa d’Avila, per gli amici Estasi di Santa Teresa opera di Gian Lorenzo (Berny) Bernini. Faccio tanto la saccente, ma ho scoperto ora cosa vuole dire “transverberazione” e desidero condividerlo con voi così imparate una parola nuova insieme a me: nella mistica cattolica, indica la trafittura del cuore con un oggetto affilato (freccia o lancia) da parte di una creatura angelica o di Cristo stesso (fonte Wikipedia). Sapevatelo!

Ed ecco il temuto momento di prendere la metro! Dopo i due giorni passati a Venezia insieme a Elisa nel 2014, raccontati efficacemente sempre nel suo post, credevo che avessimo già raggiunto da mo’ i vertici della difficoltà e che ormai niente avrebbe potuto fermarci, figuriamoci una metropolitana inaccessibile alle carrozzine; eppure lei era un po’ agitata per questo. Nelle stazioni della metro A non ci sono praticamente ascensori, così ce la siamo messi via subito: io facevo le scale a piedi per mano ad Elisa, Claudio portava sempre il mio zaino e Pietro la mia carrozzina (ripetere lo schema in ogni situazione non praticabile con le ruote). Ciò che più ci ha sconvolto è stato dover comprare il biglietto della metro sia per me che per l’accompagnatore, nonostante gli operatori ai tornelli della metro ci abbiano detto espressamente che la stazione non era accessibile e c’erano solo scale: complimenti al buon senso! Per fortuna che io le scale le faccio, ma avevamo pur sempre la mia carrozzina dietro perché non riesco a camminare su lunghe distanze. E poi quanto è macchinoso far passare due biglietti al tornello, se sei un accompagnatore che sta spingendo una persona in sedia a rotelle? Un po’.

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Io ed Elisa, finalmente in metropolitana (ph. Elisa Benassi)

Ma le fatiche, in realtà, dovevano ancora cominciare. Sopravvissuti al primo giro in metropolitana, ci aspettava la strada per arrivare a Villa Borghese: per non essere investiti da autobus e macchine in corsa, abbiamo (giustamente) usato i percorsi pedonali ai lati della strada, in salita. Ma con la carrozzina sembrava una corsa di rally in moviola, tra sassi e radici, tanto che a un certo punto ho detto “regà, fermi tutti, io scendo!”. E mi sono fatta l’ultimo pezzo a piedi, per non rischiare di rimettere il pranzo che avevo consumato in treno. Un po’ migliore la situazione nei vialetti all’interno del parco di Villa Borghese, ma pur sempre ghiaiosi e in salita (o discesa): il top sarebbe stato usare uno di quei risciò noleggiabili in loco e farsi portare così!

Malino anche la situazione all’interno del museo (sì, alla fine siamo riusciti a entrare!): numerosi gradini in discesa all’ingresso, anche se ho scoperto dopo che l’entrata accessibile era sul retro (comunque segnalata male, se il mio occhio di falco non l’ha vista). L’accessibilità ai vari piani della Galleria è condizionata alle dimensioni di un graziosissimo ascensore dall’interno in legno, posto al centro di una scala a chiocciola: io sono piccola, la mia carrozzina è piccola, cammino, pertanto mi adatto sempre alle varie situazioni; ma qualcun altro potrebbe trovare difficoltà. Vorrei però spezzare una lancia a favore del personale del museo, sempre pronto a venire in aiuto, e al sito di Galleria Borghese, che dedica una pagina proprio alle informazioni sull’accessibilità della Villa.

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Io e Claudio a Galleria Borghese, cercando di tradurre delle parole dal latino (ph. Elisa Benassi)

Non vi parlerò dei vari Caravaggi, Raffaelli, Bernini (“Berny, potevi risparmiarti un po’ però!”): potete trovare tutto ciò che vi interessa su una qualunque guida o, meglio, vedendoli di persona. La visita alla Galleria Borghese merita davvero, è una delle tappe irrinunciabili per uno storico dell’arte!

Esausti dopo la visita (era l’ora dell’aperitivo) ci siamo diretti in zona Pantheon per scoprire un posticino niente male, su consiglio di Elisa: Arnold Coffee! È una catena tutta italiana di caffetterie in stile americano, un vero paradiso per chi ama il genere: donuts coloratissimi e cheesecake in vetrina, ogni sorta di caffè, comode poltroncine, wifi e prese di corrente per i notebooks. E a sorpresa, rampa di accesso accessibile! Sono sempre lieta di fare pubblicità a un luogo in cui mi sono sentita trattata bene e in cui non ho avuto difficoltà a entrare e a muovermi. Sembra un concetto banale, ma vorrei far capire che un esercizio (bar, ristorante, hotel,…) sensibile e attento all’accessibilità dei suoi clienti e potenziali clienti, ripaga in termini di buona pubblicità!

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Io ed Elisa da “Arnold Coffee” (ph. Elisa Benassi)

Dopo una scorpacciata di cheesecake e iced coffee, abbiamo dichiarato ufficialmente chiusa la giornata culturale, per andare ad abbrutirci in una sala da gioco. No, niente roulette e slot machine, ma vi spiego tra poco! Per raggiungere il luogo, frequentato da Elisa e Claudio, questa volta abbiamo preso l’autobus: l’ho già detto che era agosto e il personale ATAC era mezzo in ferie? Beh, lo era, e questo significava aspettare mezzi che non si sapeva bene se e quando sarebbero arrivati (la mia attitudine “nordica” mal si concilia con tutta questa indeterminatezza, ma tanto ero in vacanza). In ogni caso, al secondo autobus della giornata abbiamo deciso di testare se avremmo potuto usare la pedana per salire con la carrozzina; già, perché di solito per fare prima, molto prima, salgo sui mezzi a piedi, facendomi caricare la carrozzina a mano. Quell’autobus era dotato di pedana e il conducente è sceso subito per aprirla… ma, inspiegabilmente, da tanto che veniva utilizzata era bloccata! Così in tre secondi mi sono spazientita e sono tornata al vecchio metodo delle gambe. Bisognerebbe piantare un casino ogni volta! (Voglio precisare che nessun conducente ATAC o tassista è stato maltrattato o mi ha maltrattata nei miei tre giorni romani, ma anzi si sono sempre dimostrati tutti attenti e pronti ad aiutarci. N.d.r.).

Dicevamo della sala giochi. In realtà è un luogo paradisiaco, “La civetta sul comò“: un locale dalle pareti tappezzate di giochi in scatola, dove puoi mangiare, bere, fare il saputello a Trivial o rompere amicizie a Risiko.

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“La Civetta sul comò”: ludoteca e pub a Roma

La mia prima giornata romana è finita molto tardi e noi abbiamo deciso di prendere un taxi per tornare a casa: Elisa non se la sentiva di farmi salire su uno dei più brutti autobus notturni. Volete sapere cosa abbiamo visto nel secondo giorno delle mie vacanze roNane?

Vi do solo un piccolo indizio: c’entrano ancora le civette. Ma il resto ve lo racconto nel prossimo articolo!

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