Due chiacchiere con chi (non) ha fatto l’allungamento degli arti

Qualche tempo fa la mia amica Francesca mi ha girato questo link, in cui titolo e sottotitolo dell’articolo recitano così: “CRESCITA ARTIFICIALE. In Italia circa il 90 percento della popolazione soggetta ad acondroplasia si è sottoposta a procedure di allungamento chirurgico degli arti, mentre nel resto d’Europa è solo l’8 percento.”

Wait: i nani si allungano le gambe? Ebbene sì, anche se non ho mai preso in considerazione questa possibilità. Credo che lei (Francesca) pensasse che io fossi esperta e preparata sull’argomento, ma invece no; e nella mia relativa ignoranza, ho pensato che la percentuale di nani acondroplasici (la forma di nanismo più comune, Tyrion Lannister per capirci) che si sono sottoposti all’allungamento degli arti, indicata nel link, fosse palesemente esagerata. Non ero convinta, ma soprattutto io stessa volevo sia saperne di più sulle modalità dell’intervento, sia scoprire se i dati riportati nell’articolo fossero un fake.

Ho subito attivato il mio network su Facebook, contattando un paio di ragazze che conosco solo virtualmente: Giulia, impiegata emiliana di 114 cm che non si è sottoposta all’operazione, e Michela, fotografa della provincia veronese che invece ora, con l’allungamento di tibia e femore, è alta 140 cm e mi mangia gli gnocchi in testa.

Ma in cosa consiste l’allungamento degli arti?

Vi riassumo in maniera spicciola ciò che ho capito io. Possono essere allungati tibia, femore e omero, ma la maggior parte delle persone di bassa statura si fa allungare solo le gambe. La tecnica, lunga e dolorosa, consiste prima di tutto nel rompere l’osso da allungare e nell’ancorarlo con viti a dei fissatori che fuoriescono dalla gamba (o dal braccio): tramite questi, le due estremità dell’osso vengono distanziate di circa un millimetro al giorno, sfruttando la progressiva calcificazione ossea. Il momento migliore per farlo è tra gli 8 e i 16 anni, ma capite che tutta l’operazione, eseguita in step successivi, richiede degli anni. La statura finale si può alzare anche di 20 cm, ma a fronte di continui dolori per la distensione di pelle, muscoli e tendini, e di rischi di fratture del nuovo osso appena formato!

Sia Giulia che Michela mi hanno confermato che quasi tutte le persone nane che hanno conosciuto (decine e decine, mica come me!) hanno fatto l’operazione e ne sono rimaste soddisfatte, tanto che a posteriori la rifarebbero ancora. Sono rimasta stupita, credevo sul serio che solo una minoranza si sottoponesse all’allungamento.

Si tratta di un tema delicato, perché non entra in ballo solo la possibilità di arrivare ai pulsanti dell’ascensore, ma anche e sopratutto la percezione che si ha del proprio corpo, la percezione di sé. Ho chiesto a Giulia e a Michela di raccontarmi le loro storie così diverse: perché l’una non si è sottoposta a questa “tortura” e com’è stata l’esperienza dell’altra. Volevo sentire le due campane e capire quali differenze hanno comportato queste due “scelte”.

Giulia

nana nanismo

Giulia, 114 cm di energia

Nel lontano 1985, con qualche giorno di anticipo (aveva già fretta allora, immaginatevi se oggi si ferma!), nacque Giulia. A differenza degli altri bimbi, non cresceva così velocemente ma, dato che voleva essere spensierata, per alcuni anni non lo considerò come un problema e gli altri la trattavano come tutti.
Verso i 10 anni, venendo a sapere che i dottori le avrebbero potuto allungare gambe e braccia con una ‘magia’ (questo era ciò che pensava, poi le venne detto che non era proprio un gioco, anzi), la sua mamma ed il suo papà la accompagnarono da un famoso ortopedico, che le disse che poteva pensarci ancora qualche anno.
Dopo un po’ di tempo, diventata più consapevole, ci ritornò. Il dottore le disse chiaramente che a fare gli interventi avrebbe corso qualche rischio, quello più ‘grande’ era la possibilità di non riuscire più a camminare.
Già che era riuscita tardi (a 4-5 anni) a fare i primi passi e che riuscire non era stato dato per niente scontato, pensare poi che non avrebbe più potuto farlo… non se ne parlava nemmeno!

Quindi tornò a casa triste sì, ma anche con la consapevolezza che anche lei comunque avrebbe raggiunto tanti traguardi, e così andò.
Durante gli anni, conobbe ragazzi che avevano voluto e potuto diventare più alti. Capì che per ottenere qualche cm in più, avevano sofferto tanto e pensò (e pensa) che, secondo lei, non ne sarebbe comunque valsa la pena.
Oggi dove non arriva a prendere le cose, ci arriva chiedendo aiuto alle persone (in questo non ha nessun problema!) o facendole sistemare alla sua altezza.
Lavora come impiegata e, durante il suo tempo libero (anche se è brutto definirlo così, perché per le cose che piacciono, il tempo lo si trova sempre!), in palestra da più di 3 anni pratica Nia (una zumba più ‘libera’ e un po’ più soft) e viaggia!
Fino a qualche anno fa, partecipava a giri in bici (la sua bicicletta è come le altre, solo più piccolina e leggermente modificata) anche lunghi (una mattina di settembre ’14 è riuscita a fare 50 km!) ma poi ha smesso, perché non riusciva ad andare sempre così veloce come gli altri!
Ma, da allora, non è diventata una pigra, anzi!

Ogni tanto qualche ‘stupido’ le ricorda chi è, ma lei vive la sua vita come se non avesse lo specchio davanti.

nana nanismo

Giulia, che non ha fatto l’allungamento agli arti inferiori

 

Michela

“Michela… piccola, compatta e maneggevole, occupo poco spazio!

Vivo nella provincia di Verona e ho 28 anni . Sono una fotografa e sfrutto la mia rara prospettiva fotografando la donna in tutte le sue sfumature.

Amo viaggiare e vorrei cambiare continuamente città. Innamorata dell’arte! Insomma “Mangio Viaggio Amo”.

nana nanismo Maickeline

Michela, fotografa che si è sottoposta all’allungamento delle gambe

Sono affetta da Acondroplasia, una donna più bassa rispetto la media, semplicemente nana… Ho una mia rara prospettiva del mondo e da quando ho affrontato l’operazione di allungamento degli arti inferiori soffro un po’ di vertigini.

Non è stato un intervento semplice, è durato anni tra alti e bassi… a 11 anni ero convinta e mi sono buttata in questa avventura. Ho lottato molto con il dolore e con me stessa… il dolore fisico a un certo punto arrivi a sopportarlo, ma psicologicamente non è semplice e, per fortuna, ho avuto poche ma buone persone che non mi hanno lasciato sola. Anche il cibo purtroppo mi ha salvato, mi ha fatto ingrassare più di 30 chili: quando ero sola, quando avevo male, quando mi sentivo giù il cibo era lì e mi consolava. Ora per fortuna abbiamo trovato un feeling, ho perso tutti quei chili tornando al mio peso forma ma continua a piacermi mangiare! Ho pianto, urlato, sono crollata molte volte ma sono sempre riuscita a tirarmi su e continuare a lottare… ma ho anche riso tanto e conosciuto tra un ospedale e l’altro tante belle persone, i miei “svitati”!!! In questa avventura una persona è rimasta sempre vicino a me, dal primo giorno e lo continua ad essere anche oggi: il mio ortopedico preferito, il mio doc Agostini. L’uomo che mi ha reso quella che sono e ha cambiato in meglio la mia vita!

Non ho mai rimpianto questa scelta e se tornassi indietro la rifarei. Ha cambiato la mia vita, mi ha resa più indipendente, non in tutto però e dove non arrivo ho imparato qualche stratagemma per aggirare le difficoltà.

A giorni mi percepisco più alta di prima dell’intervento, quasi normale, a giorni ancora una nana… dipende cosa devo fare e con chi ho a che fare. Cosa vorrei cambiare? Alcuni giorni tutto, vorrei essere “normale”, entrare in un negozio e comprare scarpe e abiti come fanno tutte senza diventare matta per trovare le taglie giuste, visto che per le nane scarpe e vestiti su misura ancora tardano ad essere inventati. Altri giorni mi piaccio così come sono, ho lottato tanto per diventare così, e non sono poi così male… ma non mi sono fermata, ho ancora tanto per cui lottare e vivere!”

(il nome d’arte di Michela è MAICKELINE e potete vedere le sue foto sulla sua pagina Facebook e su Instagram!)

E Nanabianca?

Io sono rimasta piccola. Non ricordo se avrei potuto fare l’intervento, ma comunque mi avrebbe alzata di pochi centimetri (essere alta m 1,10 non mi cambierebbe la vita) e all’età di 9-10 anni ero impegnata a risolvere altri problemi scheletrici.

Ricordo, invece, quanto fossi disgustata dalla proposta di un paio di “tutori-trampoli“, a forma di mezza gamba di plastica, che avrebbero dovuto alzarmi di almeno 15-20 cm: da donna ormai fatta e finita (non avevo ancora 9 anni) li trovavo così antiestetici, e non riuscivo a fare pace col fatto che non avrei potuto indossare gonne. Anzi, l’immagine che avevo in testa ero io in tutte quelle situazioni in cui mi sarei dovuta togliere i trampoli (al mare, per andare a dormire,…): un attimo prima sarei stata “alta”, subito dopo sarei tornata bassa; non potevo concepire di essere contemporaneamente entrambe le cose, “non sarei stata più io”.

Qui si entra in un problema etico non indifferente: è giusto che una persona debba sentirsi “obbligata” a sottoporsi a un’operazione lunga e dolorosa, non per necessità di salute ma solo per potersi adeguare al mondo esterno? Non sarebbe più giusto progettare i luoghi e i mezzi di trasporto in modo che possano essere utilizzati in autonomia dal maggior numero di persone (nane, cieche, in carrozzina,…)? Io propendo decisamente per la seconda. Sono contenta di essere stata così risoluta da bambina nel voler rimanere com’ero: la percezione positiva che ho ora di me stessa e del mio corpo, e la mia volontà nel raggiungere gli obiettivi apparentemente banali nonostante tutto, deriva anche e soprattutto dall’immagine di quelle finte gambe di plastica.

Se non avete ancora letto il post sui 30 vantaggi di essere alti 1 metro, lo trovate qui!

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