Nell’immaginario comune “fare yoga” significa assumere posizioni acrobatiche estreme; sempre nell’immaginario comune chi fa yoga ha un corpo perfetto, magro e tonico.

Sono Francesca, ho trentadue anni, mi sono accostata allo yoga da circa cinque e il mio corpo è considerato tutt’altro che perfetto: sono bassissima e asimmetrica, ho la scoliosi, alcune articolazioni non si articolano. Può una persona con disabilità, e in particolare con una patologia scheletrica come la mia (Displasia Diastrofica), fare yoga? Assolutamente sì, perché non si tratta di puro esercizio fisico, né di competizione: lo yoga è un percorso che inizia con la consapevolezza di sé e del proprio corpo, e termina con qualcosa che è attualmente al di fuori della mia portata di comprensione, ma che viene chiamato Illuminazione.

Nanabianca che fa yoga (posizione seduta)

Ascolto del proprio corpo

Nanabianca e lo yoga

La mia relazione con lo yoga è iniziata ben prima che nascesse Nanabianca. Il mio ostacolo iniziale era trovare un insegnante che si accollasse le caratteristiche uniche del mio corpo (insomma, difficilmente avrei potuto seguire gli esercizi pari pari agli altri), che non la vedesse come una perdita di tempo e che fosse abbastanza competente per proporre delle alternative efficaci quando necessario.

Nemmeno io avevo un’idea chiara di cosa significasse fare yoga, allora. Ho iniziato la mia pratica a Verona in piccoli gruppi guidati da Nicoletta Petrecca, che per mia fortuna aveva una lunga esperienza di riabilitazione con persone dalle più svariate patologie: con lei ho fatto le prime, dirompenti scoperte, non ultima quanto mi piacesse praticare yoga. In quel periodo il mio corpo è cambiato radicalmente, si è tonificato e snellito, i muscoli delle gambe e della schiena – un tempo così deboli, dopo dieci anni di corsetto – si sono rafforzati, preparando il terreno per una nuova autonomia personale. Mi risuonano ancora nelle orecchie la voce melodiosa di Nicoletta e alcuni suoi insegnamenti di cui ho fatto tesoro, e che cerco di applicare nella vita quotidiana.

Nanabianca che fa yoga (posizione del corvo)

Praticare yoga mi ha fatto diventare forte e tonica

Parsifal Yoga Academy

Dopo un periodo inattivo, da circa un anno ho ricominciato a praticare yoga con regolarità: il consiglio giusto dell’amica Elisa mi ha portato a conoscere Lusia Maresu, che tiene i suoi corsi nella sede veronese di Parsifal Yoga Academy (e in altre città del nord Italia). A differenza della mia esperienza precedente, con Lusia faccio lezioni individuali di yoga integrale: anche per lei è un continuo esperimento, perché sono la sua prima allieva con nanismo (e dalle complicanze scheletriche non banali). Ogni settimana scopriamo insieme qualcosa di nuovo sul mio corpo e dove può arrivare, senza forzature dannose; durante l’ora di pratica siamo solo io e lei, quindi non ho modo di scappare dalle false convinzioni sui miei limiti. Parliamo moltissimo io e Lusia, e anche questo fa parte dell’ora di lezione a cui non rinuncerei per niente al mondo.

Nanabianca e l'insegnante di yoga Lusia Maresu

Con la mia insegnante Lusia Maresu (Parsifal Yoga Academy)

Da qualche mese ho aggiunto anche le tecniche di respirazione Pranayama, questa volta in un corso collettivo. Il respiro è una terapia fondamentale per il mio fisico, molto più delle posizioni yoga: tutti respiriamo, in modo più o meno involontario, ma ho capito che imparare a farlo con consapevolezza cambia davvero la qualità della vita. Oltre al fatto che sta trasformando il mio corpo, meglio della ginnastica: ha aumentato l’espansione della mia cassa toracica, ha fatto “spuntare” dei muscoli nella schiena che prima non avvertivo, mi aiuta ad estendere la colonna vertebrale – acquistando millimetri preziosi in altezza – e a sciogliere tensioni nelle articolazioni.

Nanabianca pratica la respirazione a narici alternate

Nadi Sodhana, la respirazione a narici alternate

Lusia ci tiene all’ordine, alla pulizia personale, alla regolarità (e chi arriva in ritardo a lezione non entra): ma Parsifal non è una caserma, anzi! Sto capendo anch’io che mantenere l’ordine tra le proprie cose si riflette sull’ordine mentale… ma la mia strada verso il minimalismo è ancora in salita e lastricata di troppi “lo metto a posto domani”. Un insegnamento alla volta.

Cosa mi ha insegnato lo yoga

Ci tengo a precisarlo, questa non è una lezione di yoga. Di teoria ne so ancora molto poco, mi guarderei bene a dare dei dettami che magari non sono nemmeno corretti: ma posso raccontarvi la mia esperienza pratica in prima persona, come potrebbe fare il vostro migliore amico, con la particolarità che chi ve lo racconta ha sfidato l’idea comune che chi fa yoga deve avere certe caratteristiche fisiche.

Nanabianca che fa yoga

Nanabianca che fa yoga (si prende il piede con le mani)

Esercizi per allungare i tendini e diventare snodabile

Insomma, non esiste un corpo più adatto di un altro ma solo la volontà, perché lo yoga è una disciplina che, se presa sul serio, investe tutti gli aspetti della vita quotidiana: non è solo ginnastica, né solo meditazione. E allora che cosa ho imparato?

  1. Conoscere il mio corpo. Questo è il grado zero da cui parte tutto e da cui non si può prescindere. La mia conquista più grande è stata imparare a sentire parti del corpo non visibili, muscoli, articolazioni, terminazioni nervose; imparare a concentrarvi l’attenzione e a muoverle, allenandole con micro movimenti interni. Ho un sacco di muscoli “nuovi” che prima non controllavo e ora sì; anche la percezione di me stessa nello spazio è cambiata.
  2. Non pormi limiti, o almeno non prima di averci provato. Non esiste “non sono capace”: frasi come queste creano una resistenza mentale che sabota in partenza l’esperienza. Ho scoperto sulla mia pelle di poter fare molte più cose (nell’ora di yoga e nella vita in generale) di quelle che la mia testa aveva deciso, e l’ho capito solo provandoci: ovviamente, per la sua conformazione il mio corpo ha dei limiti oggettivi, ma imparando a conoscerlo ho capito anche che può arrivare molto lontano. Con calma, ma lontano.
  3. Parte tutto dalla mente, nel bene e nel male. La mente è in grado di farci fare grandi cose, ma anche di bloccarci dentro pensieri e aspettative inutili: per questo a volte è meglio lasciare che sia il corpo a fare, prima di pensare.Nanabianca fa yoga (con le mani giunte davanti al cuore)
  4. Riconoscere che tipo di dolore è. Sembra un concetto senza senso, ma fidatevi: c’è dolore e dolore, e con mia grande sorpresa ho scoperto che non tutti sanno riconoscerlo. La mia insegnante Nicoletta rideva quando, praticando un movimento, facevo una distinzione tra “male-male” e “male-bene”. Il “male-male” è quando un’articolazione ruota in maniera innaturale, ad esempio, provocando un dolore fine a se stesso o addirittura dannoso; il “male-bene“, invece, è quando si fa stretching su un muscolo atrofizzato: volano madonne interiori, certo, ma vuoi mettere il benessere che arriva dopo! È importante saperli distinguere e questo concetto si può chiaramente estendere alla vita in senso lato: ci sono sofferenze inutili e sofferenze necessarie, che una volta affrontate e superate fanno entrare una nuova luce. Con Lusia, inoltre, sto imparando a riconsiderare la mia scala del dolore, dando un 5 a ciò che prima valutavo con un grado 8.
  5. Liberarmi dal complesso di superiorità, inferiorità e uguaglianza. Altro concetto all’apparenza banale che mi risuona dalle lezioni di Nicoletta: lo yoga è lontanissimo dalla competizione e dal confronto. Non ha alcun senso guardare il mio vicino di tappetino e sentirmi più brava di lui nel fare un esercizio, o al contrario sentirmi una schiappa; ma l’insegnamento, molto più sottile, che mi ha svoltato l’esistenza è stato quello di non volere per forza essere uguale a qualcuno: ognuno di noi è un essere unico e, nello yoga così come nella vita, sta affrontando un percorso tutto suo.
  6. Godermi il momento. Viviamo costantemente con la mente tesa al passato (cosa è successo stamattina, l’estate scorsa, quella volta che avrei voluto rispondere in maniera diversa) o al futuro (cosa devo fare stasera, chi devo chiamare appena esco dal lavoro, cosa devo mettere in valigia per la prossima partenza), ma la sfida più difficile è restare nel presente, in quello che stiamo facendo esattamente qui e ora. Spesso l’aspettativa della meta rovina l’intero cammino: «per la stessa ragione del viaggio, viaggiare», così riassumo il piacere di stare seduta su un prato a guardare i fili d’erba, a osservare il fiume che scorre, a concentrarmi su un romanzo, a fare degli scarabocchi su un foglio di carta per il semplice gusto di farli, a stare ferma senza fare niente. A stare e basta, senza pensare al dopo. Sembra facile, eh? A me non riesce sempre, anzi, ma già solo l’atto di prenderne coscienza è un passo verso lo stare bene. E se non vi piace la citazione di De Andrè, lo dico con le parole più disarmanti dei Tre Allegri Ragazzi Morti: «Voglio stare bene come un animale» (che nella mia testa piena di cassetti mezzi aperti rappresentano lo stesso concetto).Nanabianca che fa yoga (inspiro a braccia aperte)
  7. Compensare, per mantenere uno stato di equilibrio. Quando si lavora in una posizione, soprattutto se sbilanciata, poi è opportuno controbilanciare con un gesto di compensazione: per esempio, se lavoro per inarcare il lato sinistro del corpo, poi dovrò inarcare il lato destro per riportare l’equilibrio. Lo stesso procedimento cerco di applicarlo nella vita quotidiana (ovviamente vale solo se l’esperienza iniziale è negativa): per esempio, se ho avuto una giornata spiacevole, cerco di gratificarmi con qualcosa che mi faccia tornare il buon umore. Non so se sia in linea con la filosofia yogica, ma funziona!
  8. Non comprendere con la razionalità, ma attraverso l’esperienza. Spesso mi viene chiesto – da persone che non hanno mai praticato – perché lo yoga è stato ed è così importante per me: anche se lo spiego, però, vedo nel mio interlocutore della difficoltà a comprendere. I miei colleghi mi prendono simpaticamente in giro quando mi preparo per uscire dal lavoro e andare al “corso di respiro”: ci vuole un corso per imparare a respirare? Ora che l’ho sperimentato, la mia risposta è decisamente affermativa. Come si fa a far comprendere tutto questo? Non si può, perché non sono concetti razionali e l’unico modo è farne esperienza in prima persona; poi ne riparliamo.
  9. Le caratteristiche del mio corpo non corrispondono ai miei limiti. O, detto in altre parole, le caratteristiche fisiche del mio corpo non costituiscono necessariamente dei limiti: avere un handicap non significa non riuscire a fare niente, ma avere più o meno difficoltà ad affrontare in autonomia la vita di tutti i giorni. Detto in altre parole ancora, non riesco a salire da sola su un autobus o fare 500 m a piedi senza dovermi sedere per riposare, però riesco a fare la verticale sulle braccia a testa in giù: sono meno disabile allora? Per la società in cui vivo purtroppo no, perché le barriere nella quotidianità sono ancora molte. Però volete mettere la soddisfazione di sfidare qualcuno a fare la verticale? (Ah no, devo rispettare il punto 5).
  10. Quando sto bene dentro, si riflette sul mio aspetto fisico. Non conto più il numero di persone che hanno detto di trovarmi cambiata, in meglio: in effetti se guardo le mie foto di qualche anno fa, oggi sono completamente diversa, oserei dire più consapevole. Sono cambiata dentro e questo si riflette sul mio volto e sul mio corpo, e di sicuro la pratica yoga ha avuto una parte importante nella mia evoluzione personale.
Nanabianca fa respirazione pranayama in riva al lago

Respirazione Pranayama in riva al lago

Lo avete capito da soli: qui si parla di yoga, ma i princìpi che imparo durante la pratica si estendono alla vita.

Pensate che io riesca perfettamente a mettere in pratica tutto questo carico di insegnamenti? Sono brava a predicare, ma non così coerente a razzolare: e allora per confondervi e chiudere la questione, vi faccio vedere che so davvero mettermi in verticale capovolta, ah! Ecco Sirsasana, la posizione sulla testa, che condensa in un unico forte gesto tutto ciò che ho imparato in questi ultimi mesi.

Namasté!

Nanabianca che fa Sirsasana, la posizione sulla testa

Sirsasana, la posizione sulla testa

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3 Commenti

  • Rossana Cosentino ha detto:

    Cara Francesca, hai saputo esprimere con chiarezza e semplicità la tua esperienza, ma è anche la mia, tu ti dichiari disabile, ma se non specificavi la tua patologia, potevo essere io a parlare.Io che, apparentemente non ho malattie invalidanti,ma l’handicap è solo fisico? Il limite ce lo poniamo noi e parte sempre dalla nostra mente che, mente. Lo Yoga mi ha salvato la vita, perché mi ha insegnato quello che tu così chiaramente hai descritto in tutti i tuoi punti. È stato un piacere incontrarti e condividere un cammino insieme, guidate dal respiro che, se pur naturale, non é per niente scontato e banale.Abbiamo ancora della strada da percorrere, ma applicando uno dei principi dello Yoga il qui e ora, lo pratichiamo lo sperimentiamo e quindi lo viviamo, ogni volta come se fosse la prima volta. A presto.

    • nanabiancablog ha detto:

      Ciao cara Rossana! Sono contenta che hai letto il mio articolo e che ti ci ritrovi: vuol dire che qualcosa l’ho capito davvero. 🙂 Ci vediamo presto a lezione per respirare insieme, un abbraccio. Francesca

  • Jackie ha detto:

    Sei un fenomeno! Io solo all’idea di mettermi in verticale capovolta a testa in giù sarei distrutta.

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