In pochi sanno che prima di essere Nanabianca, una blogger, una copywriter, una yogini, un libro vivente, una problem solver nell’arrivare ai pulsanti dell’ascensore, un’esteta appassionata di mutandine di pizzo, una che fa domande scomode e una campionessa di gaffes… sono prima di tutto una storica dell’arte. Ho studiato all’Università di Verona e, dopo la laurea, mi sono perfezionata alla Scuola di Specializzazione in Beni storico-artistici all’Università degli Studi di Padova: il mio periodo preferito è sempre stato il Medioevo, per una volta quello “alto”.
Ma sono anche nana, e la rappresentazione della diversità fisica nei secoli passati è un tema che ha sempre solleticato un angolo remoto del mio cervello. L’ho tenuto da parte, non affrontandolo mai a fondo e mai in modo sistematico, fino a quando Isabella Caserta non mi ha convocata per tenere una conferenza alla 6^ edizione del Festival Non C’è Differenza, presso il Teatro Scientifico-Teatro Laboratorio di Verona dal 24 novembre al 3 dicembre 2019.
Una storia del nanismo
La conferenza avrebbe dovuto parlare di storia dell’arte, ma saremmo stati anche all’interno di un festival nato per abbattere le barriere fisiche e mentali, ed è così che ho scelto un tema che mettesse d’accordo in modo succulento entrambe le condizioni: da qui è nata la ricerca Le persone nane nella storia e nell’arte. Dalla preistoria alle corti del XVII secolo.
Ho scelto di studiare e raccontare le tracce dell’esistenza del nanismo fin dalle epoche più remote, la sua percezione nel mondo antico e l’evoluzione nel corso dei secoli, fino a toccare il Settecento. Pensavo avrei trovato poco materiale e che la mia conferenza sarebbe stata pronta con poca fatica: quanto mi sbagliavo! L’argomento è potenzialmente infinito e gli studi sul tema, soprattutto in altre lingue, sono più di quelli che ci si potrebbe immaginare: la prima ad appassionarsi all’argomento sono stata io ma, proprio per questo, ho dovuto concentrarmi su un arco cronologico (dalla preistoria alle corti barocche) e una zona geografica (il bacino del Mediterraneo e l’Europa).
I nani sono sempre esistiti e sono esistiti ovunque, dalle Americhe all’Estremo Oriente: persino l’ultimo imperatore azteco Montezuma teneva dei nani nel suo palazzo di Tenochtitlán, visti nel 1519 dal cronista Bernal Díaz del Castillo durante il viaggio di conquista del Messico al seguito di Hernán Cortés.
L’importanza delle parole
Quando si parla di disabilità oggi le parole diventano incredibilmente importanti: bisogna essere politically correct ma non troppo, altrimenti si scade ipocritamente dall’altra parte. Insomma, un gran casino. La galassia ‘nanismo’ non fa sconti, anzi, il terreno delle parole rischia di diventare molto scivoloso: secondo le linee guida attuali per una comunicazione corretta, il principio fondamentale è quello di non identificare la persona solo con la sua disabilità, ma considerare questa come una caratteristica della persona. In questo caso: SÌ a “persona nana/con nanismo”, NÌ a “persona di bassa statura” (forse una perifrasi inutile), e NO a “il nano/la nana”.
Ritengo anche che ci sia modo e modo di usare la stessa parola: “nana” può definire semplicemente la mia condizione fisica o essere usato in modo dispregiativo. Personalmente non mi dà problemi essere chiamata “nana”, se questo non è inteso come insulto.
Nel caso specifico della conferenza, “nano” è anche un termine ormai storicizzato, dal momento che in passato i nani erano una categoria ben definita con caratteristiche sociali e valori simbolici propri: per questo nella mia ricerca ho scelto di mantenerlo così, con le dovute premesse lessicali (ché non si offenda nessuno).
Dottoressa nanologa
ATTENZIONE: da qui in poi, dunque, userò impunemente la parola “nano/a” senza badare al politically correct. Così come ho trovato il nome perfetto per indicare la disciplina che studia la presenza del nanismo nella storia, nell’archeologia, nell’arte, nella letteratura, nel folklore: la nanologia. Niente di riconosciuto eh, è un termine border line che potete trovare talvolta usato da qualche scrittore o blogger temerario.
La nanologia è un tema marginale della storiografia, poiché la disabilità – come tutte le diversità rispetto alla norma – è sempre stata molto poco rappresentata. Per fare ricerca in questo campo bisogna addentrarsi in molte discipline: oltre alla storia, ovviamente, la storia dell’arte, la filologia, l’archeologia, l’antropologia fisica, la paleopatologia, la storia della medicina…
Il nano, inoltre, presenta due facce della stessa medaglia: la realtà e il mito. La prima è rappresentata dai dati storici di persone con nanismo realmente esistite; viceversa, i nani sono anche portatori di significati simbolici e valori che cambiano in base al tempo e al luogo (pensiamo per esempio ai nani del folklore e delle favole).
I due testi di riferimento che mi hanno guidata sulle tracce della “piccola gente” nella storia sono Dwarfs in Ancient Egypt and Greece di Véronique Dasen, fondamentale per quanto riguarda il mondo antico, e Mostri da salotto: i nani fra Medioevo e Rinascimento di Cristiano Spila, che offre spiragli sul contesto delle corti europee e ha una ricca bibliografia per ampliare la ricerca. Mi hanno letteralmente aperto un mondo!
Dalla preistoria alle corti del XVII secolo
Romito 2, il primo nano
Avreste mai immaginato che il primo nano conosciuto della storia, anzi della Preistoria, fosse calabrese? Convenzionalmente chiamato Romito 2 (la Grotta del Romito si trova nel Parco Nazionale del Pollino, mentre il n. 2 è l’identificazione della sepoltura all’interno dello scavo), si tratta dello scheletro di un maschio di 15/20 anni affetto da nanismo acromesomelico e sepolto abbracciato a una donna più anziana di lui: era alto meno di 1,20 m e dobbiamo immaginarcelo, a questo punto, mentre mangia ‘nduja e parla con l’h aspirata… A parte gli scherzi, Romito 2 è vissuto attorno al 9200 a.C.: l’età della sua morte (era un ragazzo, non un bambino appena nato) dimostra che, contrariamente a quello che potremmo pensare, nel Paleolitico superiore il gruppo sociale si prendeva cura anche dei soggetti evidentemente più deboli.
Nani egizi
Un discreto numero di scheletri con nanismo sono stati ritrovati nell’Egitto pre-faraonico, insieme a moltissime statuette votive di nani nei santuari: il nano (e soprattutto la nana) incarnava un aspetto divino degno di adorazione, veniva invocato nei culti della fertilità, proteggeva la gravidanza e la nascita. Durante tutto l’Antico Egitto faraonico i nani vennero raffigurati nelle tombe dell’élite: avevano mansioni prestigiose, erano danzatori e danzatrici, musici, guardarobieri reali, gioiellieri, attendenti di vario tipo. Alcuni di loro raggiunsero i vertici della corte e divennero così importanti da tramandarne il nome e il ritratto: come Perniankhu, danzatore nel Grande Palazzo di Cheope, o Seneb, alto funzionario alla corte di Cheope, tra gli altri titoli Capo dei nani di Palazzo, raffigurato in un curioso ritratto scultoreo con la moglie e i figli (di altezza normale).
Nani o Pigmei?
Fin dalla Grecia arcaica e per tutto il periodo ellenistico-romano, nani e pigmei sono sinonimi. Omero aveva detto che i Pigmei erano un popolo bellicoso e piccolo di statura, che viveva alle fonti del Nilo ed era costantemente in lotta con le gru che ne distruggevano i raccolti: questa identificazione tra pigmei-nani, del tutto priva di basi scientifiche, persisté nell’iconografia ben oltre l’Antichità, almeno fino al Settecento.
A dar retta ad Aristotele, i nani apparterrebbero al Regno Animale e non si dovrebbero allevare figli nati deformi, secondo la kalokagathìa: non è una parolaccia, ma il principio secondo cui la perfezione fisica si rispecchia nella perfezione morale e viceversa. Ma il grande filosofo non deve essere stato più di tanto ascoltato, perché di raffigurazioni di nani ne abbiamo eccome: dipinti sui vasi attici, impegnati nelle loro danze dionisiache, o come statuine caricaturali di bronzo di età romana, spesso con attributi sessuali dalla dimensione esagerata (niente di nuovo, insomma…).
Nani nel Medioevo
Con l’avvento del Cristianesimo anche la condizione dei nani cambia: come tutte le deformità fisiche, anche il nanismo viene interpretato come castigo divino per i peccati, è simbolo di corruzione morale. Il nano è un mostro, una figura diaboli.
Rispetto all’età antica, gli scheletri ritrovati tra V e XV secolo sono appena una dozzina. Inquietante è il caso del “nano di Cividale“, in cui un individuo maschile venne seppellito a faccia in giù, sopra allo scheletro di una donna accusata forse di stregoneria.
Ma il Medioevo è anche la categoria del meraviglioso per eccellenza, del folklore, della mitologia nordica: se abbiamo pochi nomi di nani realmente esistiti, non si contano le citazioni di popoli mitici ed esseri fantastici nei poemi arturiani e nelle miniature. Nel Basso Medioevo i nani, al pari di gobbi e gli storpi, trovano una loro dimensione sociale come giullari e buffoni.
Nani di corte
È nel Rinascimento che il nano diventa un vero e proprio status symbol: possedere un consigliere o una dama di compagnia di bassa statura era segno di prestigio per i signori delle corti europee, un po’ come sfoggiare un Rolex o un super cane di razza al giorno d’oggi. Re e principi trattavano i propri nani come beni di lusso da esibire durante i banchetti, come regali preziosi e merce da scambiare per tessere relazioni diplomatiche.
Ma, come le altre mirabilia, il nano e la nana vengono visti come ‘scherzi della natura’, a metà tra il regno animale e l’uomo. In una parola, mostri. Nella scala sociale di corte il nano, malizioso e menzognero, è appena un gradino sopra al cane, con cui condivide gli spazi e la vita quotidiana. E oltre al cane, nei dipinti viene molto spesso rappresentato in compagnia di scimmiette e pappagalli.
Il nano di corte più raffigurato del Cinquecento è sicuramente Morgante, la vera star body positive della corte fiorentina dell’arciduca Cosimo I de’ Medici. Se vivesse al giorno d’oggi Morgante, «tanto brutto che pareva bello», avrebbe senz’altro un profilo Instagram molto seguito: lo troviamo su una tartaruga nel giardino di Boboli, mentre cavalca selvaggiamente un drago-chiocciola o una botte, mentre suona una trombetta, in battaglia vestito in armatura, immortalato con una coppa in mano, e avanti ancora. Ma la sua effigie più nota è senz’altro quella dipinta da Bronzino: un incredibile ritratto doppio di Palazzo Pitti in cui Morgante cacciatore, completamente nudo, mostra il lato A e il lato B di tutta la sua strabordante fisicità.
Anche il XVII secolo europeo ci ha lasciato un gran numero di ritratti: basti ricordare la coppia di nani Richard Gibson e Anne Shepherd alla corte inglese; o Sir Jeffrey Hudson, il nano della regina d’Inghilterra Henrietta Maria dalla vita avventurosa. E ancora i nani malinconici alla corte spagnola di Filippo IV dipinti da Velásquez, tra cui buffoni, alti funzionari e dame di compagnia: tutti abbiamo in mente la ‘Nana della Regina’ Maria Bárbola nel grande quadro Las Meninas al Museo del Prado.
E nel Settecento?
Per il XVIII secolo bisognerebbe aprire un capitolo nuovo della nanologia: da qui in poi ci saranno sempre meno nani di corte e sempre più nani visti come divertenti caricature e attrazioni ambulanti. Un fenomeno che ha avuto fortuna fino a tempi ben recenti – pensiamo ai circhi e alle esposizioni dei freaks -, e che non è ancora del tutto scomparso nel mondo dello spettacolo. Il nano continua a generare risa e grottesca curiosità.
Conclusioni
Come ogni conferenza che si rispetti, anch’io ho tratto le mie conclusioni. Sono rimasta sorpresa nel constatare una parabola discendente nella percezione sociale del nanismo, dalla Preistoria fino ai giorni nostri: paradossalmente, Romito 2 e i nani dell’Egitto pre-faraonico erano forse più inclusi e considerati dal mondo in cui vivevano.
Mi ha sorpreso scoprire una società “primitiva” che si prende cura di un proprio figlio, nonostante questi non possa – dal nostro ristretto punto di vista materialista del XXI secolo – dare fisicamente un grande contributo alla sopravvivenza della comunità di cacciatori e raccoglitori: allora, chi sono i primitivi?
Ciao Francesca bellissimo pezzo, interessante. Anche a Mantova i Gonzaga da fine 1300 regarono per più di 400 anni. Anche loro avevano a corte tanti nani che usavano per far divertite gli ospiti, costretti a lottare tra loro. Ma c è un dipinto nella camera degli sposi al castello di San Giorgio dove una Nana di nome Lucia era ritratta vestita bene, ed era una della famiglia.Se farai altre conferenze fammelo sapere, verrò molto volentieri e ti conoscerò. Tanti saluti Luca