Il secondo giorno delle “vacanze roNane” ci ha messo davvero alla prova (chi si fosse perso la prima parte del racconto legga prima qui).

Giorno 2

L’obiettivo della mattina era: Musei Vaticani al mattino e catacombe al pomeriggio (quali, non si sa). La task era abbastanza ambiziosa, soprattutto perché il nostro gruppo vacanze si era ridotto a tre elementi (fidanzato Claudio lavorava la mattina), per i Musei non si aveva tutta la giornata a disposizione e l’unica volta in cui ci ero stata risaliva a circa quindici anni fa. Metà della mia vita. Ok, la chiudo qui: dicevo, ci ero stata mooolto tempo fa e volevo tanto tornarci, almeno a vedere qualcosina.

Vi anticipo solo che, da casa di Elisa a Città del Vaticano, ci abbiamo impiegato qualcosa come due ore senza scherzare. Colpa della metro A chiusa per lavori e delle corse ridotte di tram e autobus causa ferie di agosto. La prima prova di resistenza non è stato salire sul tram – il 19, da capolinea a capolinea -, ma attenderlo mezz’ora con una temperatura degna di un’estate su Mercurio.

Al suo arrivo il mezzo si palesava vecchierello (no rampa, no banchina a livello tram), ma a noi non faceva paura niente. Mentre aspettavamo sul marciapiede la sosta del capolinea, l’autista si è premurato di venirci ad avvisare che quella tratta non era pienamente accessibile ed era già pronto con un elenco in mano a darci informazioni sulle fermate successive. E tutto questo senza che noi avessimo minimamente attirato la sua attenzione o che ci fossimo mostrati turbati (vabbè, magari turbati lo siamo sempre… ma è un’altra storia): ve l’ho detto che gli autisti ATAC, ma anche i tassisti, i guardiani all’interno dei musei e i romani in generale, hanno sempre compensato con la loro gentilezza il disagio di muoversi con una carrozzina al seguito.

Circa un’ora e mezza dopo esser partiti da casa, siamo scesi a Ottaviano: in zona lavora Elisa e, finché quel tratto della metro A è chiusa per lavori, lei si fa due volte al giorno quella tratta, mettendoci lo stesso tempo che ci impiego io per andare a Padova in macchina. Io vengo da una città media del nord Italia, sono abituata ad altre distanze e ad altri ritmi, sono abituata – ma questa è anche un’attitudine mia personale – ad essere molto organizzata sugli spostamenti; resto sempre quasi “affascinata” dal fatto che milioni e milioni di persone nel mondo abitino in metropoli – e sono decisamente poche, nel totale, quelle davvero bene organizzate con i trasporti pubblici -, e nonostante questo vivono e vanno a lavorare lo stesso.

Ma non divaghiamo. Come previsto, la mia carrozzina ha fatto da “saltacoda” per entrare ai Musei Vaticani (ma sul prezzo da pagare per avere questo “privilegio” vi consiglio di nuovo la lettura dell’articolo di Elisa); abbiamo deciso di vederne solo una parte, perché avendo un unico giorno a disposizione per visitare la città e volendo andare al mare il giorno dopo, ci avrebbe preso tutto il tempo a disposizione. Solo una cosa mi premeva di vedere: la Galleria delle carte geografiche. La geografia mi è sempre piaciuta, potrei stare ore davanti a una cartina… e mi affascina ancor di più vedere come veniva rappresentato il mondo nei secoli scorsi. Tra tutto ciò che si può ammirare negli appartamenti papali, questo corridoio delle regioni italiane dipinte alla fine del Cinquecento mi era rimasto nella mente e nel cuore dalla visita precedente: il ricordo negli anni si era trasformato in desiderio di tornarci ancora, per il gusto di vedere la mia città e i paesini della provincia segnati su quel fondale verde da cartina geografica.

Galleria carte geografiche

Nella Galleria delle carte geografiche ai Musei Vaticani.

Dal punto di vista dell’accessibilità non abbiamo trovato rilevanti difficoltà e, anzi, tutto il personale museale ci ha sempre dato tutte le informazioni sui percorsi ancora prima che noi facessimo domande, era incredibile! Non abbiamo capito come, ma i guardiani delle varie sale sapevano sempre quando eravamo in arrivo e quando dovevano aprirci porte e passaggi: ci piace pensare che avessero delle minuscole ricetrasmittenti e che comunicassero tra loro in modo molto discreto, come in un film di spionaggio.

La Galleria delle carte geografiche portava inevitabilmente alla Cappella Sistina, raggiungibile con la carrozzina tramite un montascale per scendere una rampa di gradini: siccome la mia pazienza per l’insostenibile lentezza dei montascale è inversamente proporzionale ai minuti di vita che mi fanno perdere, ho abbandonato la pigrizia (lasciando libero il potente mezzo per altre persone carrozzate) e raggiunto la Cappella a piedi. Qui il guardiano di turno ci ha fatto da “scudo umano” stile bodyguard nel mezzo del circo di turisti col naso all’insù, per evitare che mi venissero addosso. Quelle sono proprio le occasioni in cui per sicurezza devo tenere la mano a qualcuno, altrimenti le persone non mi vedono e mi investono. Elisa poi, che era vestita in modo “succinto” (abitino/tuta senza maniche), ha vinto una stilosissima mantellina di carta usa e getta per coprirsi le spalle: sembrava la versione white di Batman (ma non ha voluto essere immortalata, ahimè).

Cortile Pigna Musei Vaticani

Io ed Elisa nel Cortile della Pigna.

Avevamo deciso di aspettare l’arrivo di fidanzato Claudio per pranzare insieme all’uscita dei Musei Vaticani e, nell’attesa, di fare un salto anche nella Basilica di San Pietro: anche lì è stato facile, non dovendo fare tutta la coda insieme ai giapponesi, anche se, per fortuna, il controllo delle borse al metal detector lo abbiamo fatto anche noi. Non vi racconto di San Pietro – sono sicura che ci siete stati più volte di me e che sapete che il Baldacchino di Berny Bernini è alto più o meno come un palazzo di 4 piani, prrr! -, ma nel tragitto fra Musei e Basilica lungo le Mura Vaticane siamo state protagoniste di un siparietto degno di nota, uno dei tanti che in verità suscita la mia condizione di nana/carrozzata (scegliete voi quale delle due è prevalente): io, Elisa e fratello Pietro ci siamo fermati davanti a una fontanella, eravamo disintegrati dal caldo e avevamo lo sguardo perso nel vuoto nell’attesa del nostro turno. La ragazza straniera in coda davanti a noi ha guardato Elisa e me per qualche secondo, infine ha sentito il bisogno di chiedere in inglese (ovviamente ad Elisa) se io fossi sua sorella. Destata all’improvviso da quella domanda inaspettata, lei ha risposto di no, che sono una sua amica, e tale risposta è bastata a chiudere il discorso. Ora, voglio dire, tranne il piercing sotto il labbro e gli occhiali da sole direi che non ci assomigliamo per nulla, eppure periodicamente ci chiedono se siamo sorelle o – udite udite! – mamma e figlia (vi lascio immaginare chi sia l’una e chi l’altra). Voi sapete illuminarci meglio al riguardo?

Appena avvenuto questo fatto, io ed Elisa ci siamo abbandonate ad alcune domande e considerazioni:

  1. Perché la gente pensa che siamo sorelle (Elisa in questo caso è interscambiabile con tutte le altre amiche con cui vado in giro)?
  2. Perché a nessuno viene in mente che siamo semplicemente amiche?
  3. Perché alla gente urge sapere in che rapporti siamo tanto da venircelo a chiedere in qualsiasi lingua? Per dire, con noi c’era anche Pietro, il vero fratello di Elisa, e non gliene sbatteva a nessuno se loro due fossero familiari o meno; inoltre se vedo per strada due persone che si somigliano, mica le fermo per domandare il loro grado di parentela. Mah.
  4. Alla persona successiva che ci avrebbe fatto una domanda simile, le avremmo chiesto chiarimenti in questo senso. Ollà!
Sciascia Caffè Roma

Claudio e Elisa da Sciascia Caffè.

Finito il nostro pellegrinaggio a San Pietro, ci siamo diretti verso un ristorante cinese per cinesi in zona Prati, in cui Elisa va sempre e dove tutto è scritto in cinese perché rivolto a una clientela quasi esclusivamente tale. Ma se si supera lo scoglio di entrare dalla porta, si scopre che il menù ha – da pochissimo – la traduzione in inglese e italiano, e la cucina è davvero buona buona. Sì, mi rendo conto di essere troppo vaga e non saper fare grande pubblicità, scusatemi (“un ristorante cinese in zona Prati” ha la stessa precisione di “un negozio di abbigliamento in via Condotti”). Comunque, fidanzato Claudio ci ha raggiunti lì per mangiare e, dopo aver quasi fatto linciare la cameriera cinese dalla padrona del locale perché la poveretta aveva dimenticato l’ordinazione di un piatto, ci siamo diretti poco lontano a bere il caffè da Sciascia, una delle caffetterie storiche di Roma: la specialità è il caffè al cioccolato, che io ho trovato divino tanto da sognarmelo ancora.

Non molto lontano si trova l’agenzia di comunicazione dove da qualche mese lavora Elisa come copywriter, la Growell, e lei non stava nella pelle a mostrarci il suo nuovo bellissimo ufficio luminoso! Così abbiamo fatto un salto lì prima reimpostare la nostra destinazione non più alle catacombe della Via Appia (troppo caldo e troppa fatica da fare), bensì a… Villa Torlonia!

autobus roma

In autobus, nel posto riservato alle carrozzine (ph. Elisa Benassi).

È un luogo che mi ha folgorato, per la sua quiete e la sua atmosfera sospesa. I Musei di Villa Torlonia, immersi in un giardino all’inglese ottocentesco, si compongono essenzialmente del Casino Nobile, in stile neoclassico/eclettico famoso per essere stato anche una delle residenze di Mussolini, e dalla Casina delle Civette, una sorta di chalet svizzero con al suo interno opere d’Art nouveau (vetrate, maioliche, disegni): entrambe le sedi sono accessibili grazie ad ascensori. Le “civette” citate sono proprio quelle di alcune vetrate in stile Liberty. Consiglio di prendervi un po’ di tempo per visitare questo luogo amato dai romani ma poco frequentato dai turisti, la prossima volta che andrete a Roma.

casino nobile

Villa Torlonia, Casino Nobile.

img-20170804-wa0011.jpg

IMG-20170804-WA0012

IMG-20170804-WA0016

Villa Torlonia, Casina delle Civette (ph. Elisa Benassi).

Per farla breve, dopo la visita alla Villa siamo tornati a casa in taxi, dopo aver aspettato invano un autobus che non arrivava e dopo essere rimasti imbottigliati in tangenziale a causa di un incendio non so dove. Abbiamo passato la serata tranquilli a casa, cenando per terra in terrazza e chiacchierando a lungo (io ed Elisa avevamo mesi e mesi di arretrati!).

Giorno 3

L’obiettivo dichiarato del terzo giorno era: MARE! Dopo l’iniziale e folle idea di alzarci alle 5.30 per andare a prendere posto sulla spiaggia di Ostia, di fatto siamo stati vinti dalla stanchezza e abbiamo preso il primo autobus che erano quasi le 11.00 (la cosa incredibile è che alla fermata del bus si trovavano ben SEI controllori dell’ATAC in assetto da contravvenzione). Sul bus io ed Elisa abbiamo avuto uno dei nostri incontri ravvicinati del terzo tipo (i due maschi, Claudio e Pietro, non venivano mai coinvolti in queste situazioni surreali): mentre ero seduta e intenta a scrivere qualcosa sul mio cellulare, è salita sul mezzo una signora (la signora Rita) che appena mi ha visto ha chiesto ad alta voce se fossi io “quella che va in televisione!”. La mia scarsa prontezza e la mia innata sincerità mi hanno fatto rispondere che purtroppo no, non sono io quella che va alla “Vita in diretta”, ha il fidanzato e si batte per i diritti delle persone disabili.

Dato che ormai il contatto con la signora Rita era stabilito, è bastata un’occhiata d’intesa con Elisa per far scattare il nostro piano. Indicando me, Elisa le ha chiesto: “Signora ci pensi bene, secondo lei io sono sua sorella, una sua amica o la sua accompagnatrice?”. Dopo qualche secondo di suspense degna di un telequiz, Rita ha esclamato: LA SUA ACCOMPAGNATRICE! Lacrime di dolore. La sorella declassata ad accompagnatrice… Sorvoliamo sulla delusione per questo esperimento sociale fallito. Al momento della discesa dal bus è scesa anche la signora, la quale si è sentita in diritto di prendermi in braccio a forza per mettermi sul marciapiede con la motivazione che “potevo essere sua figlia”: gente, vi prego, con tutta la buona volontà e le buone intenzioni che potete avere – e che non metto in dubbio – non sentitevi in diritto di sollevare una persona per quanto piccola e leggera senza prima chiederle il permesso, perché non potete sapere se ha dolori, ossa rotte, cicatrici fresche, o semplicemente non ha piacere di entrare in contatto intimo con un estraneo! Stiamo parlando di cose serie.

Salutata la signora (la quale ha voluto a tutti i costi lasciarmi il suo numero di cellulare), ci siamo diretti sulla linea della metro B, miracolosamente dotata di ascensori FUNZIONANTI, e dopo un cambio siamo saliti sul trenino diretto a Ostia, anch’esso accessibile senza fatica perché a livello della banchina. Voglio spezzare una lancia per la capotreno che all’ultimo minuto ci ha fatto cambiare convoglio di corsa, per non farci viaggiare su un mezzo privo di aria condizionata (a furia di spezzare lance, qui possiamo giocare a shangai).

metro B

Ascensori funzionanti sulla metro B: è tutto vero (ph. Elisa Benassi).

2017-08-09_02-39-05-e1502762344119.jpg

Sul trenino per Ostia (ph. Claudio Ciccone).

Non ho mai amato il mare. Questa volta volevo dargli una nuova possibilità, dopo tanto tempo che non lo vedevo; volevo riposarmi e prendere il sole, respirando aria buona. Volevo dare una nuova possibilità all’acqua salata che mi brucia eccessivamente gli occhi, alle onde in cui non riesco a stare a galla se non aggrappata a qualcuno e alla sabbia rovente che mi si appiccica ovunque. Non ho mai amato il mare perché non riesco a muovermi scalza sulla sabbia da sola e i miei spostamenti in autonomia si limitano a pochi passi attorno all’ombrellone e al lettino; anche con le mie calzature di plastica per la piscina (che qualcuno aveva dimenticato sul tavolo della cucina invece di metterle nello zaino della spiaggia) non riesco a camminare liberamente… Ma forse è proprio la sabbia il problema, che costringe a farsi spesso la doccia per liberarsene e quindi agli spostamenti; non so perché, ma la spiaggia di sassi è diversa e la preferisco cento volte. Insomma, non ho mai amato il mare perché l’ho sempre associato alla frustrazione di dover stare sotto l’ombrellone, a meno di non essere trasportata in braccio.

Ma questo non vuol dire che ad Ostia sia stata male! Ho preso il sole, sono stata con gli amici e mi sono lasciata bagnare dalle onde seduta sulla battigia. La sera, dopo essere tornati a casa disfatti e un po’ bruciati, sono venuti due amici di Elisa e Claudio a giocare a Risiko: un modo perfetto per chiudere (oltre alle amicizie di lunga data) queste mie vacanze “roNane”.

2017-08-09_10.46.41

Sulla spiaggia di Ostia (ph. Elisa Benassi).

2 Commenti

Lascia un Commento