Continuano le recensioni dei luoghi meno turistici della zona veronese, ovviamente sempre dal mio punto di vista.

L’autunno è finalmente iniziato (è la mia stagione del cuore!) e per le Giornate Europee del Patrimonio 2017 mi sono regalata una visita… all’Ossario. Custoza è un paesino immerso tra i vigneti a 15 km da casa mia, un luogo davvero piacevole per fare passeggiate o andare in bici. Ma è stata anche il sanguinoso teatro di battaglie nella Prima e nella Terza guerra d’Indipendenza (1848 e 1866): qui vennero falciati centinaia e centinaia di soldati italiani e austriaci, inizialmente sepolti in fosse comuni. Qualche anno dopo la seconda battaglia di Custoza, iniziarono i problemi: le fosse si aprivano, i cani randagi frugavano le ossa, arrecando molto disagio alla comunità locale. Ecco che allora si pensò al progetto di un mausoleo che raccogliesse tutte le spoglie, indistintamente dal grado e dalla nazionalità della divisa: l’Ossario di Custoza venne inaugurato il 24 giugno 1879 e raccoglie le ossa di quasi 2000 soldati anonimi.

L’Ossario di Custoza con la casa del custode sullo sfondo

Sono arrivata all’Ossario per la prima visita guidata del pomeriggio, alle 15.30, quando il sole settembrino non è più così alto nel cielo e inonda tutto di una luce dorata. Il monumento, alto 40 metri, svetta con il biancore del suo obelisco al centro di un parco ora fornito di panchine e, essendo su una collinetta, è un punto di riferimento visivo nel paesaggio circostante. Ester, ex compagna di studi d’arte, amica, nonché guida turistica dell’Ossario, è stata carinissima e, con una piccola mano da parte sua, mi ha dato la possibilità di fare la visita sebbene io non avessi un accompagnatore… Eh già, perché il monumento “non è un posto per carrozzati”: purtroppo la conformazione stessa dell’Ossario, con cripta interrata e belvedere panoramico, entrambi raggiungibili tramite strette rampe di scale (strette anche per me!), non permette in alcun modo l’accesso alle persone in carrozzina e difatti per loro l’ingresso è gratuito. Tuttavia, l’organizzazione sta già pensando a come compensare a questa inevitabile inaccessibilità fisica: è già pronta una sala multimediale (senza gradini!) nell’ex casa del custode, in cui i video di tre personaggi interpretati da attori raccontano la battaglia del 1866 da tre punti di vista differenti, e altre aree espositive sono in fase di allestimento (pronte per il 2018). Si sta anche valutando l’idea di fare un video dell’intero percorso di visita, in modo che anche chi non può entrare fisicamente nell’Ossario si renda conto di quello che c’è.

La sala multimediale dell’Ossario

Un gruppetto di persone (una famiglia con bambini, una coppia di mezza età, un singolo appassionato di luoghi legati alla memoria bellica, e infine io) è arrivato lì proprio per la visita guidata: la prima tappa è la cappella sopraelevata, al centro del mausoleo ottagonale. Qui sono raccolti i nomi degli ufficiali (e solo di quelli) morti durante le battaglie, e campeggia la scritta: NEMICI IN VITA / MORTE LI ADEGUÒ / PIETÀ LI RACCOLSE. Si riferisce appunto alla sepoltura comune e indistinta di soldati senza nome, sia italiani sia appartenenti al Regno austro-ungarico (austriaci, ungheresi, cechi, slovacchi…). Dopo l’introduzione nella cappella, abbiamo sceso le scalette per arrivare alla cripta: immaginavo fosse un luogo buio e tetro, con illuminazione artificiale. Beh, non è certamente un luogo allegro, ma le finestre a livello del terreno illuminano il corridoio anulare e le file di crani, facendoli risplendere di un candore quasi innaturale. Avete capito: file e file di crani, disposte meticolosamente su mensole sovrapposte ai due lati del corridoio. Ho scelto di non fare fotografie, per un mio rispetto personale della memoria di quegli uomini morti con un foro di pallottola in testa o con la mandibola sfondata, ma basta googlare “ossario di Custoza” e vi farete un’idea della scena macabra.

I teschi dei soldati sono in varie condizioni, appunto, e alcuni hanno tracce di colorazione verde, triste ricordo degli elementi in rame della loro divisa con cui erano stati gettati nelle fosse comuni, rame che ha lasciato l’ossido. Nessuno di quei crani ha un’identità, ma nella riesumazione ottocentesca solo tre ufficiali italiani sono stati riconosciuti (uno era alto quasi due metri!) e qui ricomposti in urne di vetro. Ma lo spettacolo più impressionante, secondo me, sono le enormi cataste “parallelepipediformi” (non so se esista come termine, ma chissene) formate dalle restanti ossa dei quasi duemila scheletri lì raccolti. Ester ci ha raccontato che vennero chiamati dal Trentino uomini esperti nell’accatastare la legna: e infatti le ossa sono disposte in modo impeccabile, femori con femori, bacini con bacini (no, non quelli) ecc., in un incastro perfetto e che fa sì che l’umidità non li intacchi, sebbene il luogo sia molto umido.

Dopo la cripta ho deciso di risparmiarmi i 60 gradini per raggiungere la balconata del belvedere, da cui si gode una vista a 360° sulla campagna circostante. Mentre Ester ha accompagnato il resto del gruppo lassù, io mi sono seduta su una panchina di quel luogo di quiete, a riflettere sulla caducità della vita e a postare foto su Instagram. No dai, non proprio così. Però il parco è davvero un bel posto dove riposare la mente e ascoltare il silenzio.
Al termine della visita guidata, Ester aveva ancora un po’ di tempo da dedicarmi e si è seduta sulla panchina con me: siccome avevo fatto la “mezza disabile” (ho fatto i gradini per la cripta, ma non per il resto del monumento), come una vera storyteller mi ha raccontato cosa si vede dal balcone panoramico e gli ultimi aneddoti sui soldati ritrovati dopo la tragica battaglia del 24 giugno 1866 nei campi di Custoza. Un luogo così ameno, oggi, che tutto sembra aver visto tranne tanta morte.

2 Commenti

Lascia un Commento